Prima tappa:
Montedinove – Rotella – Poggio Canoso

  • Distanza: 9,5 km
  • Tempo di percorrenza: 3h
  • Dislivello: +180
  • Dislivello: -225

DESCRIZIONE: Il percorso comincia da Montedinove per scendere verso la Val Tesino. Si arriva al fiume Tesino e dopo un tratto di pianura si compie una breve e ripida salita. Attraverso la variante del Cammino Francescano della Marca si giunge a Rotella. Da qui si prosegue con un lungo dislivello di circa 4 km per Poggio Canoso attraversando e costeggiando vigneti, uliveti e meleti.

La prima tappa è classificabile T (turistica) nella tabella CAI2 e prevede circa 4,5 km di asfalto in uscita da Montedinove; 2,5 km di strada bianca e 2,5 di carrareccia. Non presenta rilevanti dislivelli.

NOTA: Giunti a Poggio Canoso si ha la possibilità di proseguire direttamente con la seconda tappa o di scoprire più da vicino l’ambiente del Monte Ascensione con suggestivi panorami sui paesaggi lunari creati dai calanchi percorrendo l’anello di Rotella (vd. Pag 15)

Montedinove

Il borgo medievale di Montedinove sorge sulla cima più elevata della catena di colli marchigiani, godendo di una vista che spazia dalla costa adriatica ai Monti Sibillini, dal Monte Conero al Gran Sasso d’Italia.

Il piccolo e grazioso centro storico di Montedinove conserva, ancora oggi, i resti delle alte mura medievali costruite dai monaci farfensi a difesa del borgo e si dipana attraverso strette viuzze acciottolate. Passeggiando per i vicoli non si può che rimanere affascinati dalla bellezza delle architetture, dalle abitazioni in laterizi e dalla ricchezza di particolari di arredo urbano, come i lavatoi comunali, le fontanelle dell’acquedotto del Polesio, gli eleganti edifici che raccontano il passato del borgo di Montedinove.

Sono ancora evidenti i resti delle fortificazioni come la “Porta della Vittoria”, costruita nel XII secolo, e i ruderi della torre medievale anch’essa risalente allo stesso periodo storico. Oltre ai resti del torrione, si nota un’abitazione con una elegante loggetta di ispirazione rinascimentale, ma risalente al XVIII secolo.

Meritevoli di una visita la chiesa di S. Lorenzo costruita sul sito di un precedente edificio religioso ad opera dell’architetto ticinese Pietro Maggi e la chiesa Santa Maria De’ Cellis, importante testimonianza della presenza dei Templari nelle zone del piceno, come si evince dal particolarissimo portale dove sono scolpiti simboli legati all’antico ordine cavalleresco. All’interno sono conservati un affresco della Madonna della Misericordia e, dietro l’altare, uno splendido crocefisso del 1300 a croce astile.

Tappa obbligata è quella al convento di San Tommaso di Canterbury. La facciata della chiesa presenta un porticato a cinque archi. Essa risale a metà del XVIII secolo e l’interno è a una navata con un interessante soffitto a cassettoni. Nel convento è annesso anche un chiosco interamente recintato da ampie vetrate.

Mela rosa dei Sibillini – presidio Slow Food

A Montedinove si coltiva la mela rosa dei Monti Sibillini, un’autentica eccellenza alimentare “gioiello del Piceno e del Fermano”. Le mele rosa sono un'antica qualità coltivata da sempre nelle Marche, in particolare tra i 450 e i 900 metri di altitudine, dalle aree pedecollinari fino alle valli appenniniche e ai versanti dei Monti Sibillini.

Hanno un’ottima resistenza al freddo e alle più comuni avversità biotiche e in passato erano preziose e ricercate soprattutto per la loro serbevolezza: raccolte nella prima decade di ottobre, infatti, si conservano perfettamente fino ad aprile.

La loro coltivazione era stata quasi completamente abbandonata ed era sopravvissuto solo qualche vecchissimo albero sparso, ma da qualche anno sono tornate in coltura, grazie al lavoro della Comunità Montana dei Sibillini, che ha reintrodotto sul territorio gli ecotipi conservati nei centri di ricerca locali dall’Assam Regione Marche.

In autunno, nel mese di novembre, alla Mela Rosa dei Monti Sibillini è dedicato il Festival della Mela Rosa di Montedinove (AP) tra mercatini della terra, laboratori del gusto, ma anche convegni, musica e canti della cultura popolare.

Rotella

Rotella sorge alle pendici del Monte Ascensione, nell'entroterra marchigiano, alla confluenza del torrente Oste nel fiume Tesino. I due corsi d'acqua scorrono molto più in basso rispetto ai 395 m s.l.m. circa del centro abitato. Il torrente Oste, in particolare, ha nel tempo eroso profondamente tutto il versante est del terrazzamento che ospita l'abitato, provocando nei secoli passati frane che hanno sconvolto lo stesso assetto urbanistico originario.

Nel 1318 il paese si assoggettò spontaneamente ad Ascoli e con alterne vicende durante le lotte tra questa città e quella di Fermo, Rotella fu sempre comunque ai margini degli scontri più aspri che, tra l'altro, portarono sotto la giurisdizione ascolana anche il castello di Rovetino, già posseduto dai Varano. Nel 1586 Rotella viene aggregata da Sisto V al Presidato di Montalto. La storia seguente segue le sorti dello Stato Pontificio nelle Marche. Si segnalano un'aspra resistenza all'invasione napoleonica che portò alla ricostituzione delle mura paesane tutt'attorno a quello che restava dell'antico paese. Infatti, il 16 marzo 1775,

Rotella aveva subito un evento che ne ha trasformato per sempre la propria struttura e forma. A seguito di abbondanti piogge, parte dell'abitato orientale franò per l'erosione operata dal torrente Oste. Scomparvero in una notte la chiesa di Santa Maria e l'antico monastero, una parte della piazza e del palazzo pretoriale e tutte le altre abitazioni ed orti che la racchiudevano. Rimase in piedi il solo campanile, che oggi è uno dei simboli del paese, fungendo ormai da più di due secoli da torre civica.

 




Il Marroncino dell'Ascensione

Sul versante nord del Monte Ascensione, nello specifico nel comune di Rotella si può gustare una varietà di castagna molto particolare: il marroncino dell’Ascensione. Appartenente alla famiglia delle Fagaceae, la Castanea sativa è una delle più importanti essenze forestali dell'Europa meridionale, in quanto ha riscosso, fin dall'antichità, l'interesse dell'uomo per i molteplici utilizzi.

Nell’economia della montagna ha avuto un ruolo fondamentale fino a pochi decenni fa, tanto che il castagno era chiamato “albero del pane” (già Senofonte lo definiva così nel IV sec a.C. e poi tardi anche Virgilio) perché i suoi frutti, le castagne, ricchi di amidi ma con pochi zuccheri, venivano arrostite o lessate e consumate da sole o per altre ricette. Inoltre, una volta essiccate e macinate dalle castagne si ricavava una farina dolce, altamente nutritiva, con cui si faceva un pane scuro e una speciale polenta che si abbinava a salumi e formaggi.

Dell’albero si adoperava non solo il frutto, ma anche le foglie e la corteccia. Nella medicina popolare infatti le foglie, come i frutti, sono dotate di proprietà medicinali astringenti e batteriostatiche. Il decotto era un rimedio contro gli spasmi della tosse convulsiva come la pertosse, e nelle malattie da raffreddamento come espettorante, nonché calmante nei disturbi del sistema nervoso. La corteccia, grazie all’alta percentuale di tannini, trovava ampio utilizzo come astringente per la dissenteria. Oggi per uso terapico si usano solo le gemme, le quali agiscono a livello linfatico con un’azione drenante.